Fin da piccolo, mio padre ci insegnò che la radice della parola “gentilezza” proviene dai caratteri cinesi. Il carattere “tử” si riferisce alle piccole cose. Il carattere “tế” significa cose ordinarie. L’unione di “tử tế” significa prendersi cura delle piccole cose, e con il tempo, il popolo vietnamita ha iniziato ad usarlo nella vita quotidiana, con un significato sia astratto e nobile, sia concreto e popolare. La gentilezza non risiede solo nelle parole, ma soprattutto nel pensiero che si manifesta in azioni concrete. L’opposto della gentilezza è la prepotenza, la viltà, la menzogna, l’inganno, l’adulazione, l’egoismo… La gentilezza non è prerogativa di una classe sociale. Chiunque può diventare una persona gentile se educato fin dall’infanzia e se si impegna a coltivarla per tutta la vita.
Crescendo, studiando e partecipando alla rivoluzione, ho gradualmente capito che la vita umana è intrinsecamente difficile, piena di ostacoli! Non è sempre rose e fiori, ma si incontrano anche corruzione, oscurità, inganno, invidia e competizione spietata.
Sono stato educato agli ideali di Ho Chi Minh e del Partito. All’inizio non capivo molto di concetti astratti come categorie, leggi, lotta di classe, dittatura del proletariato… ma con gli insegnamenti di mio padre e le storie di morale ed etica insegnate a scuola, attraverso il contatto con commilitoni e colleghi, molti dei quali membri del partito, studiando e lavorando con loro, ho gradualmente compreso che, parallelamente al male e alla malvagità, nel mondo ci sono molte persone gentili, amorevoli, desiderose di fare del bene, impegnate nel bene pubblico, coerenti tra parole e azioni, che fanno più di quanto dicano, e che sono pronte a sacrificarsi per una giusta causa con ottimismo, coraggio e intelligenza per ottenere risultati concreti, non per posizione o guadagno personale. Per loro, trattarsi con gentilezza è la norma.
Nel 1956, feci domanda per entrare nel Partito. Il segretario della cellula, che era anche il commissario politico della compagnia in cui prestavo servizio come soldato addetto al vettovagliamento, esaminò attentamente il mio curriculum, sapendo che ero uno studente arruolato nell’esercito, classificato come piccolo borghese; vedendomi pallido, alto e magro, eloquente, dal mio aspetto capì subito che non avevo l’aria del “contadino-operaio”, e mi chiese: “Perché vuoi entrare nel Partito?” (non so perché, in quell’ambiente militare, pur essendo un superiore, mi chiamasse “tu”).
Vedendo l’atteggiamento amichevole del superiore, in quell’atmosfera aperta, lo chiamai anch’io “tu” e dimenticai le risposte che due membri del partito, incaricati di seguirmi e aiutarmi, mi avevano suggerito, più o meno così: Entro nel Partito per il nobile ideale comunista, desidero far parte dei ranghi del glorioso Partito, essere un soldato rivoluzionario per tutta la vita, pronto a sacrificarmi e combattere per l’obiettivo della liberazione nazionale, della liberazione di classe, per la costruzione del comunismo in tutto il mondo…
Al contrario, gli aprii il mio cuore, senza formule preconfezionate: Vedo che nel Partito, i membri della nostra compagnia sono tutte brave persone, proprio come mi diceva mio padre da bambino, sono persone gentili. Ogni giorno fanno le stesse cose che faccio io, ma li vedo più grandi e nobili di me, mi sento molto più piccolo di loro; voglio entrare nel Partito per imparare e diventare un “adulto” come loro.
Non so cosa pensasse il segretario della cellula, ma poco tempo dopo, fui ammesso a un breve corso di formazione e mi furono affidati alcuni compiti difficili (solo dopo essere diventato membro del partito ho capito che si trattava di una prova). Ho completato i compiti assegnati e sono stato ammesso al Partito.
Da allora sono passati 56 anni, ho assistito a tanti alti e bassi della vita, tanti membri del partito (alcuni superiori, altri miei diretti subordinati) mi hanno fatto capire sempre più profondamente che: nel nostro Partito, la maggior parte dei membri, indipendentemente dal loro grado, coloro che sono degni di questo nobile titolo sono persone gentili, e viceversa. Sono felice che nella società odierna, sebbene qua e là, dagli uffici pubblici ai quartieri e ai villaggi, si incontrino ancora corruzione e persino disumanità… la corrente principale della gentilezza scorre ancora impetuosa in decine di milioni di cuori e menti vietnamite; in realtà, nel nostro Partito e tra la nostra gente ci sono ancora molte persone gentili.
A volte, durante le discussioni nella cellula, ci rattristiamo nell’apprendere di funzionari corrotti e depravati. Si sono espressi con eloquenza sul palco sull’importanza di imparare e seguire l’esempio morale di Ho Chi Minh, ma c’è una cosa che sembra che nessuno li abbia mai sentiti dire: “Una nazione, un partito e ogni individuo, che ieri erano grandi e godevano di grande fascino, non saranno necessariamente amati e lodati oggi e domani, se il loro cuore non è più puro, se cadono preda dell’individualismo… Ogni persona ha il bene e il male dentro di sé. Dobbiamo far sì che la parte buona in ogni persona fiorisca come i fiori in primavera e che la parte cattiva svanisca gradualmente: questo è l’atteggiamento di un rivoluzionario”.
Siamo tristi e arrabbiati con questi funzionari, ma riflettendo con calma, ci diciamo che non dobbiamo lasciarci scoraggiare, vacillare o perdere la fiducia negli ideali del Partito e di Ho Chi Minh a causa di questi funzionari degenerati; dopotutto, sono solo “la mela marcia che rovina il cesto”, la gentilezza della maggior parte dei membri del partito e del nostro popolo sarà un efficace pesticida affinché l’albero della vita rimanga sempreverde. – Trần Đình Huỳnh